Che vita è la nostra vita?

Una volta i piccoli disagi venivano accettati serenamente, oggi si pretende che evaporino all’istante.

L’idea che sia possibile convivere e andare avanti lo stesso in presenza di uno stato d’animo negativo è diventata impensabile. Il bambino è influenzato dall’adulto, condizionato dai mass media e dalla cultura sociale imperante, e quindi anche lui accetta meno lo stress.


Tempo fa la fatica, l’avere poche cose e il fare dei sacrifici ci insegnavano a dare il giusto valore alle cose. Ora questo non va più bene: bisogna avere tutto e subito, bisogna essere sempre al top, sempre felici, sempre sereni e così via. Ma questo non è possibile nella vita reale, da qui scattano tutte le malattie sociali e psicologiche che affliggono la società moderna.


Bisogna quindi accettare che esiste il negativo e allo stesso tempo tendere sempre verso la speranza, sia nelle proprie capacità che nel futuro. Le due cose sono uno la diretta conseguenza dell’altro. Se metteremo forza e impegno nel migliorarci, di sicuro staremo costruendo un futuro migliore rispetto alla nostra attuale condizione.

Il lamentarsi o il lasciarsi andare non sono soluzioni, ci lasciano a crogiolare nell’autocommiserazione e questo fatto è devastante, soprattutto se diventa un’abitudine mentale.


Questo imprinting negativo parte fin dalla più tenera età, in famiglia. Oramai, nel mondo occidentale, un bimbo su cinque soffre di obesità e passa in media quattro ore al giorno attaccato al televisore, alla playstation o al computer. Questa sovraesposizione di stimoli virtuali esercita effetti devastanti sul cervello e sul comportamento, diminuendo la capacità di prestare attenzione al mondo esterno.

Progressivamente il soggetto diventa sempre più incapace di rapportarsi con gli altri e con la realtà. Spesso sono i genitori che, abdicando al loro ruolo di primi insegnanti e formatori, mollano i propri figli davanti ad uno schermo perché “non facciano casino”. Peggio ancora, magari li tengono in casa per paura che si facciano male, si sporchino o “facciano brutti incontri”.


Una soluzione ottimale – anche in questo caso più impegnativa – è invece quella di portarli all’aperto, lasciarli liberi di fare e di sbagliare, spingerli a rapportarsi con bambini e ragazzi della loro età, invogliarli a fare sport, a coltivare hobbies o perfezionare capacità che serviranno loro in futuro, come lo studiare una lingua straniera o uno strumento musicale, tutte attività che stimolano e disciplinano la mente.


Bisogna per fare questo curare la resilienza, sia propria che di chi ci sta vicino, come una vera e propria abilità. Nessun mezzo o strumento è miracoloso di per sé e assicura risultati senza applicazione e dedizione.

Da questo deriva la forza che ci permette di affrontare la vita di petto, senza timore e con la consapevolezza giusta.


È tutto nelle nostre mani, mettiamoci in moto!

Pinuccio Massaiu