Mi ha sempre fatto riflettere una considerazione dell’ormai scomparso Robin Williams, attore che ha interpretato personaggi magnifici quali Adrian Cronauer in “GoodMorning Vietnam”, il prof. John Keating de “L’Attimo Fuggente” o Sean Maguire in “Genio Ribelle”: «Sono le persone che hanno soffertoa fare del loro meglio per rendere felici le altre persone, perché sanno cosa significa stare male e voglionoche nessun altro si senta in quel modo».
Questo aneddoto si sposa perfettamente con gli studi di ricercatori americani e britannici contenuti all’interno di libri quali “La Mente Milionaria” di Thomas J. Stanley e il celebre “Think and GrowRich”, tradotto in italiano con “Pensa e arricchisci te stesso” di Napoleon Hill. Questi autori hanno intervistato e analizzato centinaia di milionari, sia professionisti che imprenditori, e leggendo le loro parole mi sono accorto con sorpresa che numerosi punti da loro evidenziati li avevo già “sperimentati” nella mia vita.
Uno di questi è il fatto che, tra le persone di successo, come in tanti altri campi della vita, vale la legge di Pareto: l’80% di loro si sono fatti da soli partendo da zero, mentre solo il 20% hanno ereditato una posizione o una certa ricchezza e hanno poi creato ulteriore successo con le loro forze. Io, ad esempio, sono figlio di due insegnanti delle elementari e mi sono dovuto zappare la creazione dello studio che amministro fin dall’inizio, senza alcun supporto esterno se non il piccolo prestito che mi hanno dato i miei – e che ho restituito pian piano negli anni successivi – per comprare i primi strumenti e acquistare i locali in cui ho iniziato a lavorare.
Per questo torno alla frase di Robin Williams e la declino in una massima che ho fatto mia nel tempo: «Solo chi ha sofferto nella vita riesce a creare qualcosa di grande». Per soffrire intendo che ha dovuto faticare emotivamente, prendendo decisioni difficili e scomode. Ha sentito la paura contorcergli le viscere la prima volta che ha chiesto un prestito, ha sperimentato il dolore di essere tradito da un socio o un collaboratore, si è trovato isolato da tutti quando ha preso una strada in cui nessun altro credeva.
È la sofferenza – o meglio la sua gestione e superamento – a forgiare il carattere di ognuno di noi, esattamente come dallo shock termico di ferro incandescente e acqua gelida nasce l’acciaio migliore. Sono quindi le emozioni (positive o negative che siano) a generare quella carica in più, quel differenziale che permette ad alcuni di noi di emergere tra gli altri per dare l’esempio e ispirare le persone che ha intorno.
È con le emozioni crei la tua professione o la tua azienda.
Consapevole dei sacrifici passati e dell’esperienza vissuta la farai sviluppare e crescere, attirando persone di valore. Chi non ha passato un periodo di tribolazioni, per andare sul biblico, in cui ha versato sudore e lacrime, troverà molto difficile generare quell’energia necessaria a portare innovazione, condivisione ed entusiasmo nella creazione della sua identità professionale.
Chi è stato sempre bene, chi è nato nella comodità o nel privilegio, o anche solo chi è stato tenuto dentro una campana di vetro fino all’età adulta – come avviene spesso nel nostro modello educativo attuale – ha molta più difficoltà a raffinare questi aspetti. E questo per una semplice ragione: non ne sente la voglia, la necessità o il bisogno. Entra in quello stato di torpore che chi approfondisce i temi dello sviluppo umano conosce molto bene: la zona di comfort.
Il discorso vale per un giovane che non si è dovuto mai guadagnare nulla come anche per un’impresa che vive da troppo tempo una situazione senza alti né bassi e che quindi non innova più, ma si limita a gestire quello che ha (dipendenti, fornitori, clienti).
Questa è un’altra grande trappola. Se dopo la fase di creazione e crescita ci si arena in una troppo lunga di “gestione”, questa entra in comfort e, prima o poi, il comfort si evolve in crisi. Non è pessimismo o cattiveria, ma il mondo che si evolve. I competitor, infatti, non stanno in comfort come noi. Magari qualcuno è in fase di creazione e crescita e se noi, che pensavamo di essere arrivati, non ci rimettiamo in gioco con una nuova stagione di innovazione saremo raggiunti e superati.
Le nostre quote di mercato evaporate.
Perciò il modello che ho adottato nella mia attività è il seguente: Crescita à Gestione à Crescita.
Non ci si può mai fermare se si decide di fare impresa, generando valore per noi stessi, per chi collabora con noi e per il territorio in cui viviamo, che è a mio parere il fine ultimo di ogni attività economica. Gli strumenti che abbiamo sono la curiosità e l’entusiasmo, la volontà di imparare e creare sempre qualcosa di bello e nuovo. Per tenerli sempre vivo studio, viaggio, e viaggiamo tutti dello staff, incontro persone di valore da cui prendere ispirazione e fare confronto, leggo libri.
Fatto in tale ottica il lavoro non può mai pesare, ma solo amare.
Pinuccio Massaiu