La degenerazione del Capitalismo neoliberista e il mito del PIL

Il continuo bombardamento mediatico che i telegiornali, i programmi alla tv, gli spot, i giornali ma anche la formazione standard a scuola e all’università a cui siamo sottoposti non ci permette di sederci a riflettere sulle cose con la calma e la serenità necessari. Perciò speso che la lettura di questi articoli, per quanto brevi, vi dia lo spunto per fermarvi un attimo, tapparvi le orecchie – spegnere la tv a tempo indefinito può essere d’aiuto – e pensare un po’ con la vostra testa.

Vorrei partire da una storiella che potete trovare nel libro di Gianluca Ferrara “99%” per affrontare assieme un tema complesso come il concetto di capitalismo, crescita e PIL.

“Quando si va al supermercato e si acquista una piantina di basilico si accresce il PIL (ma sarebbe auspicabile andarci in auto e non in bicicletta, visto che quest’ultima non consuma benzina e quindi non genera PIL), mentre se un nostro amico contadino ci regala una piantina di basilico che noi piantiamo e utilizziamo abbiamo fatto un’azione non efficiente dal punto di vista del PIL. Poco importa se nella pianta di basilico del supermercato erano presenti concimi chimici e che quando prepareremo del pesto (sempre che non l’abbiamo già preso bell’e pronto, ancora meglio per il PIL) ci mangeremo un prodotto insalubre. Altra cosa, quella piantina del supermercato ha probabilmente percorso centinaia di chilometri in un tir, che ha dissipato una fonte di energia inquinante e non rinnovabile come il petrolio, che contribuisce ad intossicare i nostri polmoni e ad aumentare i gas serra nell’atmosfera. Ma qui sta il bello: bruciare benzina, produrre gli imballaggi in plastica della piantina, usare i prodotti chimici ha fatto crescere il PIL molto di più rispetto che a qualsiasi metodo naturale ed ecosostenibile. Per gli economisti e i politici della crescita del PIL ad oltranza dovremmo prendere la piantina donataci dal contadino e buttarla via, per poi infilarci in un comodo supermercato. Non lo si faccia neanche con troppa attenzione, perché se il vasetto colpisse qualcuno i costi dell’ambulanza e dell’ospedale farebbero crescere il PIL a loro volta”.

La fredda, matematica logica di questo esempio esprime perfettamente lo spirito del capitalismo neoliberista che, dagli anni Settanta e soprattutto Ottanta – sotto la presidenza di Ronald Reagan – ha conquistato gli Stati Uniti ed è dilagato, come una malattia infettiva ad alto tasso di trasmissibilità, in tutto il globo.

Il problema più grave è che questa malattia si traveste da tante cose che a prima vista ci sembravano – o ci hanno indotti a vederle così attraverso la pubblicità – spettacolari: cibo in abbondanza a prezzi stracciati; medicine di tutti i gusti e pronte a cancellare ogni sintomo, dal mal di testa al bruciorino di stomaco, dall’insonnia all’iperattività dei bambini (come se fosse sbagliato che i bambini siano vivaci!); centri commerciali aperti h24 con ogni ben di Dio, con scontistiche speciali ogni stagione; vacanze lowcost e così via.

Il problema che nessuno ci ha detto è che ogni cosa, al mondo, ha un prezzo. Il prezzo della ecosostenibilità è il più pesante di tutti, anche se spesso viene ignorato. Ma ci sta anche quello del lavoro alienante: rispetto agli anni Cinquanta del boom economico le persone lavorano 10 volte di più, la ricchezza mondiale si è decuplicata eppure il potere d’acquisto della classe media si è ridotto della metà.

Com’è possibile tutto questo? È stato calcolato che i venti uomini più ricchi del mondo possiedono la ricchezza del miliardo dei più poveri. Ma questo giochetto vale anche per i singoli stati occidentali: in Usa, ad esempio, 1% della popolazione detiene ricchezze maggiori del 90% della restante. In Italia non abbiamo raggiunto ancora questo eccesso plutocratico, ma ci stiamo andando incontro.

Il sistema del lavoro, che come diceva Aristotele “nobilita l’uomo”, sta diventando un incubo di sfruttamento, timore e sopraffazione anche da noi. I ragazzi escono dalle università e non hanno chances, a meno che non vadano a lavorare 12 ore al giorno, quasi gratis, a fare stage, apprendistati e tutti quei contratti e contrattini che dietro formule inglesi o inglesizzanti nascondono la volontà di sfruttare la loro forza lavoro per garantire i privilegi delle vecchie generazioni nei posti di potere economico e politico.

Ma anche una persona che ha sempre lavorato come dipendente ha prospettive sempre più fosche davanti a sé, con orari di lavoro aumentati a parità o diminuzione di salario. E che dire delle partite IVA, schiacciate dalle tasse e dalla burocrazia, che sopprimono ogni iniziativa imprenditoriale?

Eppure i centri commerciali sono sempre pieni, con offerte su offerte. Il cibo, i vestiti, la tecnologia, gli arredi e i componenti della casa costano sempre meno. Come è possibile sostenere questa situazione contraddittoria? E, soprattutto, chi ci guadagna veramente da tutto questo circo?

Quest’ultima domanda deve diventare la vostra linea guida, ora e per il futuro. Chi ci guadagna, davvero? I politici? Si, loro ci guadagnano, ma non nel modo in cui a prima vista si può credere. Non sono loro a decidere. Loro sono dei burattini, dei parassiti che intascano soldi e benefici da chi decide veramente, facendo quello che viene loro chiesto dalle vere lobby di potere.

Il vero potere sta nel sistema finanziario malato che ha creato questa forma di capitalismo esasperato. Loro controllano le banche, loro detengono il debito degli Stati, rendendoli non più sovrani! La BCE – la Banca Centrale Europea -, l’unico organo che può stampare moneta per gli Stati europei – compresa l’Italia – non è mica un organismo pubblico. È controllata da banche e azionisti privati, che stampano moneta e poi la “prestano” agli Stati, che si indebitano per avere liquidità, aumentando poi le tasse ai cittadini per pagare il denaro che viene utilizzato da tutti.

Questa è usura allo stato puro, attuata da organismi potenti e privati a scapito di tutti noi. Lo Stato italiano, come ogni altro Stato occidentale, deve riappropriarsi del suo diritto – io direi dovere – di battere moneta, senza più doversi indebitare con le banche private.

Le multinazionali più potenti possono decidere il destino dei paesi, speculando sui Titoli di Stato, modificando i parametri delle malattie per far credere alla gente di essere malata anche quando non lo è – per vendere nuovi farmaci – o instillando nelle persone dei bisogni futili, pur di continuare la corsa al consumo.

La soluzione non la troveremo nella classe politica, ma in noi stessi. Come diceva Piero Calamandrei“Ognuno di noi può con la sua oscura resistenza individuale, portare un contributo alla salvezza del mondo; oppure, con la sua sconfortata desistenza, essere complice di una ricaduta che, questa volta, non potrebbe non essere mortale (…) La resistenza è impegno, attivismo, protagonismo. La desistenza è passività, rassegnazione, compiaciuta accettazione dell’esistente: avvilisce lo slancio, spegne le passioni, spinge tutti a rinchiudersi nel terrificante perimetro circondato dalle mura del tengo famiglia e mi faccio i fatti miei”.

E tu cosa vuoi fare? Resistere o desistere?

PinuccioMassaiu