Il talento si riceve o si guadagna?

“Lottare, cercare, trovare e non cedere”

Alfred Tennyson

Una delle tematiche che più mi affascinano dello sport sono le storie che si possono scoprire sulle “star” del loro campo. Di norma siamo abituati sempre a vedere l’ultimo fotogramma, ovvero l’atleta che batte un record, vince una partita, realizza una prestazione straordinaria. Il pensiero – sbagliato – che passa, purtroppo, è che quello sportivo è un talento naturale, una meraviglia della natura, un dono.

Ad un occhio distratto può anche sembrare così, ma in verità le cose stanno in modo molto diverso. Per spiegarmi meglio voglio citare qui la storia che ho trovato in un bel post Instagram della pagina “Lagiornatatipo”, e commentarla con voi.

Steph Curry, classe 1988, è considerato uno dei migliori giocatori NBA di sempre. Record per numero di triple realizzato in una stagione (402), record per triple nei Play-Off (98), titoli MVP (Most Valuable Player Award, ovvero il giocatore migliore della stagione) per due volte, tre anelli di campione NBA con la squadra dei Golden State Warriors.

Un uomo che sembra sia stato baciato dalla fortuna e dal successo. Un talento naturale. Universalmente apprezzato negli Stati Uniti e all’estero. Eppure, pochi sanno che Steph rischiò di non giocare mai a basket come professionista.

A 15 anni, al suo primo anno di High School, era alto solo 1.70 ed era molto gracile. In un mondo ultra competitivo come lo sport in America, i coach del basket non pensavano potesse sfondare in questo sport.

Era bravino per i licei, mostrava un certo potenziale, ma il suo fisico, considerato di livello medio-basso, non gli permise di ricevere alcuna borsa di studio dai grandi college. Molte università non lo scelsero proprio perché reputavano che non sarebbe riuscito a sostenere una stagione.

Ad ogni modo il padre di Curry, Papà Dell, ex giocatore e allenatore di basket, credette in suo figlio e lo allenò per tutta l’estate del 2003 per sei, sette ore ogni giorno. I due lavorarono duramente con volontà e perseveranza per modificare la dinamica di tiro affinché potesse diventare efficace anche con il suo fisico che pareva gracile.

All’inizio il ragazzo tirava solo da dentro l’area (quindi non da 3 punti) perché Steph non riusciva ad arrivare al ferro da così lontano. Come disse alcuni anni dopo in diverse interviste, quella fu la peggiore estate della sua vita.Alla fine però, dopo migliaia di tiri fatti, senza mollare mai la meta, pian piano andò a perfezionare una tecnica che gli permise di aumentare il raggio di tiro fino ai 3 punti. Non solo, divenne sempre più fluido e naturale nel farlo.

Quando, nei due anni successivi, Steph mise su altri 20 cm e raggiunse il metro e novanta, la combinazione del duro allenamento fatto sino ad allora con l’ambizione di mostrare quanto ottenuto gli schiuse davanti una carriera straordinaria, trasformandolo nel grande atleta di valore che è adesso.

Il suo esempio, come quello di tanti altri sportivi, ci dimostra ancora una volta il valore dei principi della resilienza. Ho avuto modo di parlarne altre volte in altri post, e ti consiglio di approfondire l’argomento con gli splendidi libri di Pietro Trabucchi.

Non è vero che si nasce con il talento innato. Noi, al massimo, nasciamo con delle predisposizioni. Queste vanno poi sviluppate nel tempo con lo studio e la pratica volontaria. Senza di loro è impossibile non solo il raggiungere, ma soprattutto il mantenere nel tempo dei risultati di alto livello.

Insomma l’abilità e la competenza aumentano a livello di eccellenza solo dopo il continuo e prolungato esercizio volontario e perseverante, se eseguito fin da piccoli. Anche Trabucchi parla nei suoi libri del fatto che è il nostro cervello che va allenato per primo. La fatica psicologica ad affrontare stress, privazioni, difficoltà è molto più dura rispetto a quella fisica, ma è quella vincente, che porta i veri risultati nella vita di ognuno di noi.

Nell’uomo la necessità di imparare e allenare i propri comportamenti è superiore a quella di qualsiasi altro animale sulla faccia della terra. Il compito evolutivo di ognuno di noi è quello di crescere continuamente, perfezionando le nostre capacità operative, cognitive ed emozionali. Insomma, il nostro destino è quello – sempre che vogliamo vivere una vita piena e soddisfacente – di portare avanti un allenamento continuo, alla ricerca di risultati sempre migliori.

Tale principio vale nello sport come nel lavoro. Un imprenditore, un professionista o un collaboratore possono aumentare le loro performances con un addestramento della volontà. Lo sforzo per migliorare davvero, infatti, non può essere imposto dall’alto, ma deve nascere dentro ognuno di noi.

Dietro una persona di successo ci sono tante, tantissime ore di duro lavoro “nascosto”, momenti di sconforto superati in silenzio e grandi energie emotive investite, che spesso non si nota all’esterno.

Come un contadino saggio, o un bravo allenatore come il padre di Steph Curry, bisogna coltivare tanto e con perseveranza, curare i semi per mesi o perfino anni tale che alla fine si coglieranno i migliori frutti, in ogni campo, della professione o della vita.

Pinuccio Massaiu